Conoscevo una bambina......
A sei anni era una bambina giudiziosa, e silenziosa. Camminava rasente ai muri, non disturbava mai. Lei voleva capire, voleva ascoltare, voleva studiare il mondo degli adulti. Vedeva quel mondo pericoloso e doloroso. Molte volte avrebbe voluto sparire mentre il padre urlava alla madre, avrebbe voluto capire perché urlava tanto il babbo e perché piangeva sempre mamma. Per farlo si era immaginata un mantello che la rendeva invisibile, che lei indossava ogni volta che la situazione intorno si scaldava. In quel momento ogni fibra del suo corpo rimaneva immobile, il respiro quasi sospeso, attenta a ripiegare le punte dei piedini in modo che non spuntassero dal mantello e venisse scoperta ad ascoltare.
Era così convinta di essere invisibile, che nessuno faceva caso a lei. In quella posizione privilegiata lei ascoltava tutto, non le sfuggiva nulla. Insieme alle parole, le pareva di vedere uscire dalla bocca, degli adulti, vermi neri che sprizzavano fuori con quelle voci urlanti. Si infilava due ditine nelle orecchie, per paura che quei vermi neri ci si infilassero dentro. Imparò così, che il mondo degli adulti era fatto di tradimenti, bugie, ipocrisie. Non dimenticò mai tutto quello che vide uscire dalla bocca degli grandi, non dimenticò mai l'esperienza all'asilo...non dimenticò mai le suore con il crocifisso, tutte vestite di nero e bianco, pulite e profumate di borotalco con i vermi e i ragni che uscivano loro dalla bocca.
Si conservò per molto tempo quel magnifico mantello che lei immaginava color glicine con fregi dorati, e se ne stava parte della giornata sotto a quel mantello. Ne uscì solo due volte: una, quando vide il padre dare una spinta alla madre che cadde a terra, mentre lui stava per pestarla con...lei urlò con tutta la voce che aveva in gola e aggrappandosi ai pantaloni del padre lo calciava con tutta la sua forza sugli stinchi. Anche questo fece capire alla bambina che non si può sempre essere invisibili, a volte si deve agire. La seconda volta, era al doposcuola dalle suore e assistette alla punizione di un bambino che aveva alzato la voce. Suor Maura lo spinse a calci nel sedere nello sgabuzzino, nel sottoscala, e ve lo chiuse dentro. Le urla del bambino chiuso al buio erano talmente piene di terrore che lei non seppe resistere. Uscì dal suo mantello ed aprì quella porta liberando il bambino che fuggì via come un fulmine, appena in tempo vide ragnatele polverose che scendevao dal soffitto basso, che si sentì un calcio alla schiena e spinta dentro si trovò chiusa al buio.
Suor Maura l'aveva sorpresa e l'aveva punita spingendo lei nello sgabuzzino. Lei aveva il terrore dei ragni, lo aveva sempre avuto fin da piccolina. Quando ne vedeva uno le salivano addosso brividi, formicolii e sentiva sulla sua pelle camminare tutti i ragni del mondo e un urlo di terrore usciva dalla sua bocca. Ma quella volta no, non urlò. Sentiva le ragnatele sfiorarle il viso e lei atterrita, immobile, si sentì scivolare via, imparò in quel momento come rifugiarsi in quella parte di sé che non avverte la razionalità. La bambina uscì solo verso sera, visto che sapeva rendersi invisibile se la dimenticarono la dentro tutto il pomeriggio, solo quando venne la mamma a prenderla si ricordarono di lei. La mamma non seppe mai dove era stata la figlia, le avevano detto che si era nascosta perché si era fatta pipi sotto e così la bambina prese anche due sberle dalla mamma perché aveva bagnato le mutandine i calzini e infradiciato le scarpe.
La bambina crebbe in un clima ostile, senza amore, dove i bambini erano trattati come gli adulti, con la differenza che per i grandi, i bambini non capiscono nulla. Assisteva impotente alle discussioni dei genitori, dove il padre urlava, la madre "sveniva" e rovinava a terra, spinta dal vittimismo per impietosire un uomo che di lei se ne infischiava, e la bambina sentiva il cuore balzarle fuori dal petto vedendo la madre a terra. Insieme alla sorellina la soccorrevano, l'accarezzavano, la chiamavano piangendo disperate, le urlavano "mamma svegliati". La madre era sveglia, voleva solo prendersi dalle figlie ciò che il marito non le dava, visto che lui usciva dalla stanza sbattendo la porta bestemmiando, imprecando verso la moglie e le due figlie, augurandosi di trovarle tutte morte al suo ritorno.
Giochi? Nessuno, comprati perlomeno, una bambolina l'aveva, ma l'aveva fatta lei con stoffa di scarto, riempita di cotone idrofilo grezzo, con la faccia dipinta con il carbone. Alla bambina non piacevano gli occhi neri e quindi prese due bacche, da un albero che faceva fiori profumatissimi, con al centro una bacca blu cina, e colorò di blu gli occhi della bambola. La bambina crebbe ingegnosa, tutto ciò che le serviva aveva imparato a farselo.
Quanta pena mi fa ricordare quella bambina, e dopo tanti anni dall'averla conosciuta mi chiedo: "Ma cosa avrà prodotto quello che ha subito la bambina nella sua infanzia, da adulta ne avrà risentito? Come si sarà comportata con i suoi figli? Sarà una persona adulta, oppure è rimasta bambina con anni di esperienza?" Spero per lei che non sia mai stata adulta, spero sia rimasta bambina, solo così potrà riconoscere nei figli i bisogni dei bambini.
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