lunedì 26 settembre 2011

un questore dimenticato

Ermanno Sangiorgi, questore di Palermo a cavallo fra ‘800 e ‘900.
Ermanno Sangiorgi fu il primo a riconoscere l’esistenza della Mafia come organizzazione unitaria e ad istruire un processo per quelli che oggi definiremmo reati associativi.
Il processo si concluse con molte assoluzioni e si dovranno aspettare gli anni ’80 perché, dopo le rivelazioni dei pentiti, la mafia venga ufficialmente riconosciuta per ciò che essa è, e non ridotta a una serie di episodi criminali.

Di origini romagnole nato a Riolo Terme, Sangiorgi arrivò a Palermo nell'agosto del 1898, dopo aver prestato servizio in altre città siciliane ed aver conseguito numerosi successi contro le cosche della costa occidentale (un esempio su tutti, la "Fratellanza di Favara").

Quando il nuovo Questore arrivò a Palermo, era in corso una guerra di mafia, iniziata due anni prima, nel 1896. Indagando sui delitti commessi dalle cosche della Conca d'Oro, Sangiorgi capì che gli omicidi non erano il prodotto di iniziative individuali, ma implicavano leggi, decisioni collegiali, e un sistema di controllo territoriale.
L'indagine, avviata in un'azienda di agrumi (il Fondo Laganà) dove erano stati scoperti quattro cadaveri, passò successivamente a due ricchissime famiglie palermitane, i Florio e i Whitaker. Sangiorgi scoprì che
le due dinastie vivevano fianco a fianco con la mafia, da cui ricevevano protezione ma da cui erano al contempo minacciate. La famiglia Whitaker aveva subito il rapimento della piccola Audrey, che era stata riscattata solo con il pagamento di una forte somma di denaro.
Sangiorgi scoprì che i cadaveri occultati nel Fondo Laganà appartenevano a dei "picciotti" che la mafia aveva inserito presso la famiglia Florio come cocchieri. Alla famiglia Florio non venne in mente di collaborare con la procura. Il suo potente status, d'altronde, le permetteva di rifiutare gli inviti di comparire davanti a Sangiorgi anche per rilasciare una semplice testimonianza.

La Questura era alla ricerca di testimoni disposti a collaborare. L'occasione si presentò nell'ottobre 1899, quando un uomo conosciuto dalle forze dell'ordine, Francesco Siino, sfuggì miracolosamente ad un agguato mortale. Siino era considerato, nelle parole di Sangiori, il "capo regionale o supremo" della mafia. Era lui il vertice della gerarchia delle cosche, il "capo dei capi". Siino (il primo pentito della storia della mafia) iniziò le sue deposizioni dicendo che faceva parte di una "compagnia di amici". Ma poi confessò risvolti più particolareggiati. Nel 1898 le sue fortune stavano ormai declinando: il capo supremo della mafia era diventato Antonino Giammona. Le cosche che si spartivano la Conca d'Oro erano otto: Piana dei Colli, Acquasanta, Falde, Malaspina, Uditore, Passo di Rigano, Perpignano, Olivuzza.
Nel 1896 Siino aveva scatenato una guerra contro la cosca di Giammona, ma la stava perdendo. L'attentato cui era sfuggito era stato ordinato da Giammona.

Per Sangiorgi era finalmente giunto il momento di cominciare a firmare mandati di cattura. La notte tra il 27 e il 28 aprile 1900 la Questura fece arrestare diversi mafiosi, tra cui Antonino Giammona.
Il questore aveva portato alla luce un'organizzazione efferata e ramificata, che definiva "un tenebroso sodalizio".

Il rapporto descrive accuratamente i metodi imprenditoriali utilizzati dalla malavita: come commette rapine, si infiltra nelle aziende ortofrutticole, falsifica banconote. Ed anche i suoi metodi repressivi: la sistematica minaccia dei testimoni, fino alla loro uccisione. Viene spiegato dal questore come avviene, da parte dei capi-cosca, la gestione unitaria del territorio con l'intesa di politici e come essi amministrino i fondi per le famiglie dei detenuti e per i pagamenti degli avvocati.

Il rapporto venne presentato alla Procura di Palermo nel quadro della preparazione di un processo. Scopo del lavoro di Sangiorgi era stato raccogliere prove che dimostrassero che il racket, unito ai contatti politici, sono alla base del modus operandi della mafia.
Una sentenza di condanna avrebbe dimostrato che la mafia è un fenomeno organico, quindi unitario. Per questo motivo, la Questura puntava ad utilizzare una specifica legge che puniva il reato di associazione criminale.

Il processo cominciò nel maggio 1901. L'anno precedente, però, Sangiorgi aveva perso il suo appoggio politico a Roma: nel giugno 1900 era caduto il governo di Luigi Pelloux. Pelloux, generale dell'esercito, conosceva personalmente Sangiorgi ed era stato lui a promuoverlo nel 1898 Questore di Palermo. Intuendo il mutato clima politico, Siino ritrattò completamente le sue dichiarazioni. Anche gli altri testi si prodigarono in attestati di stima degli imputati, che vennero descritti come "veri gentiluomini".

Dopo solo un mese, giunsero le condanne di primo grado. Soltanto 32 imputati furono giudicati colpevoli di aver dato vita a un'associazione criminale. Tenuto conto del tempo già trascorso in carcere, molti furono rilasciati il giorno dopo.

Sangiorgi commentò laconicamente la sentenza:

" Non poteva essere diversamente, se quelli che li denunziavano la sera andavano a difenderli la mattina."
Sangiorgi, dopo aver presentato il suo rapporto fu decorato, promosso, rimosso, riposto in un altra questura al nord e dimenticato fini la sua carriera in sordina.
Centodieci anni fa la mafia era collusa con la politica e ancora oggi  i metodi sono sempre gli stessi e tutti i governi, succeduti da allora, hanno contribuito ad insabbiare le indagini in questo senso, nascondendo, negando, eliminando prove della collusione dello stato con la mafia.

5 commenti:

riccardo uccheddu ha detto...

Ciao!
Non conoscevo questo precursore di Falcone e Borsellino e di questo ti ringrazio.
Il tuo post ha un grande merito: evidenzia come perfino nell'800 qualcuno avesse avuto sentore di come la mafia non fosse un (pur feroce) sistema delinquenziale bensì un sistema per così dire strutturato su basi (anti)sociali e quasi scientifiche.
Un sistema con potenti e pericolosi agganci con la "società civile."
Insomma, coppola e lupara sì... ma i mandanti, i veri mafiosi potevano anche presentarsi come impeccabili professionisti.
A presto!
P.s.: come ci si unisce ai tuoi lettori?

Galadriel ha detto...

Ciao Riccardo! Grazie della visita. Non lo conoscevo neanch'io questo mio conterraneo. Il questore che fece il primo maxipeocesso della storia della mafia. Ho sentito una sera in TV Lucarelli che ne raccontava la vita e il lavoro svolto e quanto fosse attuale l'argomento. Per fortuna allora non c'era l'informazione veloce di oggi altrimenti avrebbero ucciso anche lui come Falcone, Borsellino, e tanti altri. Mi fa felice che ti sia piaciuto il mio articolo scopiazzato!Buona fortuna!
PS: ci si unisce dai lettori fissi che sono all'inizio della homepage. Se non li vedi ricarica la pagina.

Legolas Helda ha detto...

Grazie Galadriel per la stupenda storia di quest'uomo! Forza e coraggio, fanno urlare la voce della libertà, della forza di non volere soccombere ad un destino già segnato...Soli contro tutti! Sarà questo il destino che noi Siciliani dovremo sfidare!
Lunga vita e prosperità!

la stanza in fondo agli occhi ha detto...

Non conoscevo neppure io questo personaggio, mi unisco agli altri nel ringraziarti di avercelo proposto

Galadriel ha detto...

Grazie a te per averci letto, Stanza f.a.o.Felici d'averti fatto conoscere una cosa che non conoscevi.
A presto.

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