sabato 2 aprile 2011

Una delle menti più illuminate di tutti i tempi

Giordano Bruno, al secolo Filippo Bruno (Nola, 1548 – Roma, 17 febbraio 1600), fu un filosofo, scrittore e frate domenicano italiano, condannato al rogo dall'Inquisizione della Chiesa romana per eresia.
Tra i punti chiave della sua concezione filosofica, che fondeva materialismo antico, averroismo, lullismo, neoplatonismo, arti mnemoniche, influssi ebraici e cabalistici, la pluralità dei mondi, l'unità della sostanza, l'infinità dell'universo ed il rifiuto della transustanziazione. Giordano Bruno elabora una nuova teologia dove Dio è intelletto creatore e ordinatore di tutto ciò che è in natura, ma egli è nello stesso tempo Natura stessa divinizzata, in un'inscindibile unità panteistica di pensiero e materia.
È lo stesso Bruno, negli interrogatori cui fu sottoposto durante il tragico processo che segnò gli ultimi anni della sua vita, a dare

le informazioni sui suoi primi anni. « Io ho nome Giordano della famiglia di Bruni, della città de Nola vicina a Napoli dodeci miglia, nato et allevato in quella città », e più precisamente nella contrada di San Giovanni del Cesco, ai piedi del monte Cicala, forse unico figlio del militare, l'alfiere Giovanni, e di Fraulissa Savolina, nell'anno 1548 - «per quanto ho inteso dalli miei» - e fu battezzato col nome di Filippo, in onore dell'erede al trono di Spagna Filippo II.
La sua casa - che non esiste più - era modesta, ma nel suo De immenso ricorda con commossa simpatia l'ambiente che la circondava,  e di fronte il Vesuvio che egli, pensando che oltre quella montagna non vi fosse più nulla nel mondo, esplorò ragazzetto: ne trarrà l'insegnamento di non basarsi «esclusivamente sul giudizio dei sensi», come faceva, a suo dire, il grande Aristotele, imparando soprattutto che, aldilà di ogni apparente limite, vi è sempre qualche cosa di altro.
Imparò a leggere e a scrivere da un prete nolano, Giandomenico de Iannello e fece gli studi di grammatica nella scuola di un tale Bartolo di Aloia. Proseguì gli studi superiori, dal 1562 al 1565, nell'Università di Napoli, che era allora nel cortile del convento di San Domenico, per apprendere lettere, logica e dialettica da «uno che si chiamava il Sarnese» e lezioni private di logica da un agostiniano, fra' Teofilo da Vairano. Nel De la causa, Bruno scrive infatti che quantunque Averroè fosse arabo e perciò «ignorante di lingua greca, nella dottrina peripatetica però intese più che qualsivoglia greco che abbiamo letto; e arebbe più inteso, se non fusse stato così additto al suo nume Aristotele»Scarse le notizie sull'agostiniano Teofilo da Vairano, del quale Bruno ebbe sempre ammirazione, tanto da farlo protagonista dei suoi dialoghi cosmologici e da confidare al bibliotecario parigino Guillaume Cotin che Teofilo fu «il principale maestro che abbia avuto in filosofia».Per delineare la prima formazione del Bruno, basta aggiungere che, introducendo la spiegazione del nono sigillo nella sua Explicatio triginta sigillorum del 1583, scrive di essersi dedicato fin da giovanissimo allo studio dell'arte della memoria, influenzato probabilmente dalla lettura del trattato Phoenix seu artificiosa memoria, del 1492, di Pietro Tommai, chiamato anche Pietro Ravennate.
Sostiene che la terra è dotata di un'anima, che le stelle hanno natura angelica, che l'anima non è forma del corpo; come unica concessione, è disposto ad ammettere l'immortalità dell'anima umana.
Il 12 gennaio 1599 è invitato ad abiurare otto proposizioni eretiche, nelle quali si comprendevano la sua negazione della creazione divina, dell'immortalità dell'anima, la sua concezione dell'infinità dell'universo e del movimento della Terra, dotata anche di anima, e di concepire gli astri come angeli. La sua disponibilità ad abiura, a condizione che le proposizioni siano riconosciute eretiche non da sempre, ma solo ex nunc, è respinta dalla Congregazione dei cardinali inquisitori, tra i quali il Bellarmino.
Una successiva applicazione della tortura, proposta dai consultori della Congregazione il 9 settembre 1599, fu invece respinta da papa Clemente VIII.
Nell'interrogatorio del 10 settembre Bruno si dice ancora pronto all'abiura, ma il 16 cambia idea e infine, dopo che il Tribunale ha ricevuto una denuncia anonima che accusa Bruno di aver avuto fama di ateo in Inghilterra e di aver scritto il suo Spaccio della bestia trionfante direttamente contro il papa, il 21 dicembre rifiuta recisamente ogni abiura, non avendo, dichiara, nulla di cui doversi pentire.
L'8 febbraio 1600 è costretto ad ascoltare inginocchiato la sentenza di condanna a morte per rogo; si alza e ai giudici indirizza la storica frase: «Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam» («Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell'ascoltarla»).
Dopo aver rifiutato i conforti religiosi e il crocefisso, il 17 febbraio, con la lingua in giova - serrata da una morsa perché non possa parlare - viene condotto in piazza Campo de' Fiori, denudato, legato a un palo e arso vivo. Le sue ceneri saranno gettate nel Tevere.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

giordano bruno.. è uno di quelli che ha riempito le mie giornate di studio.. uno dei pochi che ho sempre apprezzato!

Legolas Helda ha detto...

Già!!! Un personaggio, un'uomo unico direi! Anche troppo poco citato e fin troppo dimenticato...Lieto di leggerti sempre fenice!

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