domenica 21 agosto 2011

Giancarlo Siani

Cari amici e lettori de"Il peccato veniale", augurandovi una domenica serena e densa di libertà d'animo, desideravo parlarvi di uno dei tanti uomini che per la libertà è stato condannato a morte fisica, che però ha reso immortale il suo spirito libero e innamorato della legalità, come unica forma di civiltà degna di essere vissuta. Giancarlo Siani.



Nacque in una famiglia borghese napoletana, nel quartiere del Vomero. Frequentò il Liceo Vico partecipando in maniera attiva e sentita ai movimenti studenteschi del 1977.
S'inscrisse all'università, iniziando a collaborare con dei periodici napoletani, dimostrandosi particolarmente interessato alle problematiche dell'emarginazione: scopri che proprio all'interno delle fasce sociali più povere, si covava il principale rifornimento di manovalanza della criminalità organizzata.
I suoi primi articoli furono composti per il periodico "Osservatorio sulla camorra", il cui direttore era Amato Lamberti. Giancarlo Siani iniziò cosi ad interessarsi ai rapporti ed alle gerarchie delle famiglie camorristiche che
controllavano Torre Annunziata e dintorni. Poi cominciò a lavorare come corrispondente da Torre Annunziata per il quotidiano Il Mattino: dipendeva dalla redazione distaccata di Castellammare di Stabia. Pur lavorando come corrispondente, Giancarlo Siani frequentava stabilmente la redazione del comune stabiese, facendo di tutto per farsi assumere stabilmente come praticante giornalista professionista.
Lavorando per "Il Mattino", Giancarlo Siani compì le sue importanti indagini sui boss locali, ed in particolare su Valentino Gionta, che aveva messo sù un business basato sul contrabbando di sigarette.
Le tuonanti denunce del giovane giornalista lo portarono a coronare il suo desisderio di essere regolarizzato come corrispondente (articolo 12 del contratto di lavoro giornalistico) dal quotidiano nel volgere di un anno. Le sue inchieste erano sempre più, volte ad andare in profondità, fino ad arrivare a scoprire la moneta con cui i boss mafiosi facevano affari. Giancarlo Siani con un suo articolo additò il clan Nuvoletta, alleato dei Corleonesi di Totò Riina, e il clan Bardellino, esponenti della "Nuova Famiglia", di voler spodestare e vendere alla polizia il boss Valentino Gionta, divenuto pericoloso, allo scopo di porre fine alla guerra tra famiglie. Ma le rivelazioni, ottenute da Giancarlo Siani grazie ad un suo amico carabiniere e pubblicate il 10 giugno 1985, convinsero la camorra a sbarazzarsi di questo scomodo giornalista. In quell'articolo Giancarlo Siani ebbe modo di scrivere che l'arresto del boss Valentino Gionta si realizzò grazie da una "soffiata", che esponenti del clan Nuvoletta fecero ai carabinieri. Il boss oplontino fu infatti arrestato poco dopo aver lasciato la tenuta del boss Lorenzo Nuvoletta a Marano, comune a Nord di Napoli.
Da quel momento i capo-clan Lorenzo ed Angelo Nuvoletta diederoil via a numerosi summit per decidere in che modo fare fuori Giancarlo Siani, nonostante la reticenza di Valentino Gionta, in carcere. A ferragosto del 1985 la camorra decise la sentenza di Giancarlo Siani...Doveva essere ucciso lontano da Torre Annunziata per depistare le indagini. Giancarlo Siani lavorava sempre più appassionatamente alle sue inchieste e stava per pubblicare un suo libro che trattava dei rapporti tra politica e camorra negli appalti per la ricostruzione post-terremoto.
Il giorno della sua morte fece una telefonata al suo ex-direttore dell'Osservatorio sulla Camorra, Amato Lamberti, chiedendogli un incontro per parlargli di cose che "è meglio dire a voce". Non si è però mai saputo di cosa si trattasse e se Giancarlo avesse iniziato a temere per la sua vita. Lo stesso Lamberti, nei diversi interrogatori a cui è stato sottoposto, ha fornito versioni diverse della vicenda che non hanno mai chiarito quell'episodio.
Il 23 settembre 1985, quattro giorni dopo aver compiuto 26 anni, Giancarlo Siani venne ucciso, appena giunto sotto casa sua: l'agguato avvenne alle 20.50 circa in via Vincenzo Romaniello, nel quartiere napoletano del Vomero. Per fare luce sui motivi che hanno portato alla sua morte e identificare mandanti ed esecutori materiali furono necessari 12 anni e 3 pentiti.
Deprimente direi... Troppo, troppo poco per onorare la memoria di un giovane che ha immolato la sua vita a causa della libertà e della legalità.

3 commenti:

Galadriel ha detto...

Grazie legolas per aver ricordato un altro eroe da noi tutti troppo spesso dimenticati. Un abbraccio.

Legolas Helda ha detto...

E' stato un piacere farlo. Lunga vita e prosperità Galadriel helda.

Anonimo ha detto...

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